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martedì 29 luglio 2008

Fra crisi economica, tasse e maltempo per il live questa è l'estate delle dolenti note


Un’estate di lacrime e sangue. Escludete le superstar da 70 mila spettatori a concerto (ma quante ce ne sono?) e guardate alla normalità delle centinaia di tour che, come ogni anno, si sono accavallati, inseguiti, sovrapposti su e giù per l’Italia. Nobili cantautori e rockettari cattivi, eteree chanteuses e tosti rapper hanno condiviso un destino di delusioni, per loro e per chi ne ha organizzato i concerti. Gli spettatori - e di conseguenza gli incassi - sono stati, in gran maggioranza, inferiori a quanto logica e orgoglio personale autorizzavano a sperare. Artisti che fino alla passata stagione richiamavano due-tremila persone hanno spesso stentato a superare le millecinquecento; tra i «classici» va molto bene Pino Daniele, che incassa l’effetto curiosità della band all-stars; ma in genere, confessa preoccupato il rappresentante di una delle maggiori agenzie attive in Italia, «anche con personaggi di primo piano è una lotta quotidiana, aspetti la serata spiando l’andamento delle prevendite, e quasi sempre va peggio di come ti aspettavi».

L’offerta è eccessiva: le tournée si moltiplicano, anche perché oggi il live è quasi l’unica fonte di reddito per i musicisti, che dai dischi non guadagnano più niente, perché nessuno li compra. Il cd viene considerato ormai soltanto uno strumento di promozione per i concerti: dai quali concerti dovrebbero arrivare i soldi veri. Filosofia tanto affermata da indurre le grandi case discografiche superstiti a entrare con forza nel mercato della musica dal vivo, acquisendo, o progettando di acquisire, le maggiori agenzie di management.

Ma l’estate ha gelato le speranze. E mentre contemplano arene e campi sportivi semipieni (o semivuoti?), tutti si chiedono quali siano i motivi, e quali i rimedi, del tradimento del pubblico. Dicono che mancano le novità ed è vero. Però, la voglia di musica resta: i concerti gratuiti vanno benissimo, chi scrive ha visto a Traffic 30 mila persone per Tricky (Tricky!) e, ancor più sconvolgente, 20 mila a Settimo Torinese per Max Pezzali (Max Pezzali!). Dunque, il problema vero è sempre e solo quello: il portafogli. La crisi induce a tagliare i consumi: prima di spendere 15-20 euro per il biglietto, la gente ci pensa due volte. E se è già stata al concerto invernale di un certo artista, rinuncia all’estivo. Così si spiegano anche le brusche battute d’arresto di nomi che pochi mesi fa avevano spaccato nei club, nei teatri o nei palazzetti.

I biglietti sono cari? Dipende dai punti di vista. Per chi deve comperarli, sì, è evidente. Ma la domanda vera è un’altra: i prezzi potrebbero scendere, come sono scesi quelli dei cd nel tentativo (peraltro vano) di ridare fiato al mercato legale della musica riprodotta? E qui, anche nel folle folle folle mondo del rock’n’roll, è il caso di piantarla con i discorsi da bar, e ragionare sui fatti. Sulle cifre.

Allora, mettetevi comodi, e facciamo due conti. Vi avviso, potrebbe risultarne una lettura angosciante: perché vi ricorderà da vicino i conti che facciamo ogni mese, nel tentativo di capire come potrà bastarci lo stipendio. Dunque, se state leggendo il giornale in cerca di qualche notizia divertente, voltate pure pagina, troverete senz’altro articoli che meglio rispondono alle vostre legittime aspettative. Qui si tenta di spiegare perché l’industria dei concerti viaggi verso la bancarotta; e perché un giovinetto assennato non dovrebbe aspirare a un futuro da musicante.

Facciamo l’ipotesi di un artista - o una band - di medio livello, teoricamente in grado di attrarre 1.000- 1.500 spettatori a data. È già un ambizioso obiettivo, specie di ’sti tempi: bisogna avere una discreta fama e/o un disco che funziona in radio. Per fare qualche esempio casuale fra personaggi noti (e non necessariamente coinvolti nella débâcle d’estate), i Bluebeaters, Roy Paci, i Baustelle, i Modena City Ramblers. Gente così, mica miciomicio. Che poi, non è detto che alle superstar vada sempre di lusso: un gruppo celeberrimo, che prende 100 mila euro ma di solito riempie gli stadi, di recente s’è trovato a suonare davanti a 300 persone...

Ad ogni modo: prendete l’artista medio. Per stabilire un cachet «logico», si dovrebbe calcolare l’incasso ipotizzabile, e dividerlo al 50 per cento: metà sarà il cachet per l’artista e la sua produzione, e metà il lordo dell’organizzatore. Da quella cifra, entrambe le parti dovrebbero recuperare i loro costi, e ricavare il guadagno.

Prendiamo il gruppo da mille spettatori prevedibili: biglietto a 15 euro (prezzo accettabile per il pubblico: per portarlo a 20 e non rischiare il buco, devi già essere una star), incasso 15 mila. Dai 15 mila togliete un 20 per cento di Siae e Iva e arriviamo a 12.500. Diviso due, fa 6.250: il cachet «logico», per l’appunto, che quell’artista dovrebbe richiedere. L’organizzatore locale deve affiggere i manifesti (costo tra i 175 e i 360 euro), pagare vitto e alloggio di tecnici e musicisti (in media 12 persone, quindi almeno 1.200 euro, a non scialare), garantire diversi servizi e attrezzature (3.000 euro), e il palco (1.500 euro). Infine le spese varie, dalle assicurazioni ai facchini, dall’elettricità alle certificazioni: un migliaio di euro. Viaggiamo verso i settemila. Fuori budget.

Veniamo ai costi dell’artista. Intanto c’è l’agenzia di booking (che si occupa anche dell’invio dei manifesti, e dell’ufficio stampa) che prende in media il 15% del cachet: nel nostro caso, 937 euro. Poi, gli spostamenti: di solito, tre mezzi (trasporto band, attrezzature e tecnici), affitto medio mensile 1.400 euro l’uno, se fai 15 date (sono già tantissime) sono - calcolando il gasolio alle stelle e l’autostrada - 150 euro a data per tre. Totale, 450 euro. Aggiungi il service audio e luci: scegliamo la soluzione più economica, tra i 2 mila e i 2.400 euro. Compenso dei tecnici, al minimo sette: a 300 euro lordi a testa (ma siamo stretti) fanno 2.100 euro per ogni giornata lavorativa.

E i musicisti? Paghiamoli non più dei tecnici: con una formazione «classica» di cinque elementi, 1.500 euro (lordi, e tra Enpals e ritenuta d’acconto sparisce il 53 per cento). Notate che pur facendo 15 date al mese (e devi già essere un bel manico) con 4.500 euro meno il 53 per cento al musicista restano in tasca poco più di 2.000 euro, e mica suoni tutti i mesi, e più di 100 date all’anno in Italia le fanno soltanto i Nomadi.

Tornando ai nostri conti: i costi di produzione dell’artista superano i 6.500 euro a concerto. Siamo oltre il cachet «ottimale». Qualcosa puoi recuperare con il merchandising, ma non risolvi un granché. A questo punto, l’artista (meglio: il suo management) tenderà ad alzare il cachet: in effetti, sono pochi quelli che, con una potenzialità da mille spettatori, chiedono meno di 10 mila euro. A dire il vero, i più tentano il colpaccio, e ne pretendono 20 mila: ma è la logica del tutto e subito, ammazzi il mercato e la prossima volta non ti chiameranno più.

Comunque, facciamo finta che si accontentino di 10 mila euro, una cifra sensata per l’artista, che rientrerebbe dei costi e ci guadagnerebbe qualcosa. L’organizzatore locale (che già ci rimette a 6.250 euro) ha due possibilità: o cambia mestiere (e gli converrebbe), oppure accetta, sperando negli incassi del bar, e che le cose vadano strabene, e anziché mille persone ne arrivino millecinquecento: con il solito biglietto a 15 euro, l’incasso (al netto di Siae e Iva) sarebbe 18 mila euro. Togli 7 mila di spese, 10 mila all’artista, e dopo tanto lavoro hai un guadagno netto di mille euro. Più il bar. E sempre che non piova. Perché se piove tutto il giorno, e la sera smette, il concerto si fa lo stesso e quindi l’assicurazione non paga: ma la gente resta a casa comunque, ed è un disastro.

Quest’estate è piovuto molto; e anche quando non pioveva, anziché i mille previsti o i millecinquecento sperati, spesso gli spettatori - falcidiati dall’incubo della crisi economica - sono stati 800, o magari 500. L’organizzatore, ormai, è al sicuro (o quasi...) soltanto se riceve un contributo pubblico: ma anche lì la festa è agli sgoccioli, con le finanze dei Comuni in dissesto, e gli assessori alla Cultura in miseria.

Morale: ragazzi, se sognate di fare i musicisti rock, o gli organizzatori di concerti rock, toglietevelo dalla testa. A meno che papà non sia ricco. Ma tanto, tanto ricco.

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