"Non avrei mai immaginato che potesse mancarmi così tanto". Gianna Nannini parla per la prima volta di suo padre, morto all'età di 86 anni lo scorso febbraio. La cantautrice confessa a Vanity Fair: "La morte di un padre vuol dire, comunque, perdere il bambino che è in te". Prosegue il successo della raccolta "GiannaBest" mentre c'è grande attesa per l'ultima tappa del tour il 6 aprile a Milano.
Una carriera, quella di Gianna, che suo padre ha seguito quasi interamente senza mai accettarla del tutto. Del rapporto incasinato con lui, l’imprenditore di successo, il signore dei ricciarelli, il padre-padrone, Gianna Nannini aveva parlato nella sua autobiografia, "Io", pubblicata da Rizzoli nel 2006.
Gianna viene da una famiglia della borghesia senese. “E quello era il mio problema. In quanto “figlia di papà”, mi sentivo complessata. Dall’altro lato, secondo mio padre, “la figlia del Nannini” non poteva assolutamente fare la rocker. E io, che non riuscivo a identificarmi nella ragazza per bene, facevo la ragazza per male a tutti i costi. Facevamo litigate terribili. A tavola ci facevano sedere distanti proprio nel tentativo di evitare gli scontri. Era il classico padre-padrone, un dittatore da contestare”.
Il fatto che lei fosse l’unica figlia femmina influiva in qualche modo? “No, non era un maschilista. Diceva che le donne erano meglio degli uomini, più efficienti. In realtà le nostre erano liti costruttive, utili a entrambi. Se non ci fosse stato lui a dirmi di non fare la cantante, forse non avrei mai trovato la forza di diventarlo”. Lei a un certo punto si è definita «polisessuale». “A un certo punto ho pensato che, per essere davvero libera, avessi bisogno di provare tutto. Ma non mi piacciono le definizioni: gay, etero... Le domande sulla mia sessualità mi sono venute a noia, e allora rispondo un po’ come mi viene”. Ma tra i motivi di conflitto con suo padre c’era anche la sua «polisessualità»? “Non ne abbiamo mai parlato, ma non credo. Penso che in generale fosse geloso di me. Mi considerava una cosa sua, era molto possessivo”.
Andandosene di casa l’avrà fatto soffrire. Nessun rimpianto? “All’inizio l’idea era “ti faccio vedere io, ’fanculo alla famiglia”. Solo molti anni dopo, quando l’ho visto anziano e malato, ho provato tenerezza nei suoi confronti e ho capito quanto ero stata importante per lui. Mi stra-adorava, diceva che ero un genio. E anch’io lo trovavo speciale: mio padre è stato il grande amore della mia vita. L’ho capito fino in fondo solo dopo la sua morte. Ripensando ai suoi difetti li rivedo uguali, mentre i suoi punti di forza, oggi, mi appaiono ingigantiti”. Quattro anni fa, disse a Vanity Fair: «Un bambino è l’unica cosa che un po’ mi manca, ci sono anche andata molto vicino, non è andata bene; ma un figlio, nella mia visione, c’è comunque». Oggi vive ancora questo desiderio di maternità? “Adesso avrei l’età giusta, e la testa giusta, per farlo”.
Ci ha provato in vari modi. “Ho iniziato le pratiche per un affidamento. Non cerco un bambino piccolo. Se è già “avviato” è persino meglio: dai cinque anni in su andrebbe benissimo”. Perché vuole un bambino? “Per trasmettere qualcosa di buono a qualcun altro, in modo non molto diverso da come si può fare con un amico. Non ho una visione tradizionale della famiglia, dei ruoli, così come non credo che un figlio appartenga ai genitori. Io, per esempio, non mi sono mai sentita figlia dei miei. Eppure, oggi, la mancanza di mio padre mi fa piangere”. Gli era vicino quando è morto? “No. Ero a Belgrado, per un concerto. Mentre moriva, io ero sul palco a cantare Aria. Aveva avuto un ictus tempo prima, e man mano è peggiorato. È morto male”. In che senso? “Muori male quando non accetti quello che è successo nella tua vita. Compreso il fatto che tua figlia se ne è andata invece di rimanere ad aiutarti”. Che cosa le manca di lui? “Sapere che c’è. Che è lì e che ti ci puoi incazzare”.
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